Se c’è qualcosa che salvo di questo mio percorso universitario fallimentare, son proprio gli esami di Antropologia, Etnomusicologia e delle altre discipline affini.
Chiamo questo percorso fallimentare perché onestamente non mi ha appassionato come speravo, ma c’è del bene in tutto e se son qui a raccontarvi certe cose, con un certo approccio, lo devo anche agli esami di cui parlavo sopra.
Comunque uno mi è piaciuto particolarmente, sembra strano perché si trattava di un esame a scelta, lo dovevo dare giusto per avere dei crediti.
Civiltà musicali del Mediterraneo comunque mi ha stupita parecchio ed è per questo che ho deciso di fare una piccola rubrica sulla musica, in particolare quella che ho studiato per la preparazione.
Prima di ogni viaggio mi calo nel contesto anche grazie all’ascolto di playlist precise, vi linkerò la mia playlist alla fine del post.
A maggio son stata in Marocco e quindi come sempre ho ascoltato un po’ di musica prima e durante la partenza. Preparare quest’esame proprio prima del viaggio mi ha dato la possibilità di capire meglio questo paese e tutta la ragione del Nord Africa.
Questo per quale motivo? Studiare un certo genere mediterraneo può aprirci uno spiraglio nelle complessità provenienti dall’ immigrazione, delle quali le protagoniste sono spesso le seconde generazioni, che in un certo senso vengono dimenticate nel processo.
Gabriele Marranci dice infatti che la musica non è solo il principale mezzo d’espressione dei giovani, ma è anche un medium in cui la cultura, identità personale e collettiva si amalgamano.
Oggi, come dalle ricerche di M. che ho avuto la possibilità di consultare, ci tengo particolarmente a parlarvi della musica raï.
Un po’ di storia
La musica raï ha origine algerina e maghrebina. Deriva dall’incontro tra la cultura urbana di Orano e delle campagne circostanti. L’emigrazione rurale verso le città della costa è stato il fattore esterno che ha permesso l’incontro tra lo stile di canto dei beduini e lo stile zèndani delle città. I cantanti (check o cheikha) si esibivano nei caffè insieme a musicisti ebrei, che a loro volta contaminavano portando la musica arabo-andalusa.
La comune ripetizione nei loro testi dell’espressione ya-rayi portò alcune persone a definire questo stile come rai.
Fu il colonialismo a rendere i contatti più facili, per questo molti cantanti si esibivano per l’armata francese. Proprio in questi locali, oltre la musica egiziana, arrivava anche quella francese. L’esperienza delle due guerre pose in contatto alcuni cantanti anche con la musica americana.
Tutte queste influenze andarono a caratterizzare il raï, caratterizzato anche da un certo senso di ribellione, non solo contro la colonizzazione, ma anche contro i costrutti sociali.
Negli anni ’50 gli algerini pensavano che la musica raï fosse adatta ai locali malfamati, ma pian piano la situazione mutò per via delle cantanti che animavano le celebrazioni dei matrimoni. Questo è uno dei fattori principali per cui la cominciò a diffondersi. Alcuni giovani ci trovarono un’attività su cui cimentarsi. Tra loro Khaled, uno degli esponenti più importanti.
Dal 1974 il pop-raï cominciò a diffondersi e a mutare grazie all’introduzione delle tastiere elettroniche e questo consentì agli cheb di esibirsi anche da soli.
I testi del pop-rai parlano soprattutto d’amore, in particolare di quelli proibiti, della tristezza, dell’alcool.
Per favorire il commercio del rai, i produttori raccomandarono gli cheb di evitare argomenti scomodi ed espressioni disdicevoli. Di questa ennesima evoluzione, il rai-love, fu protagonista Cheb Hasni.
Molti cantanti emigrarono in Francia poiché erano terrorizzati dal terrorismo, ma non volevano rinunciare alla loro carriera. Nel 1986 il concerto di Bobigny a Parigi, rese più facile il contatto tra questi cantanti e le record companies internazionali e francesi. Da questo momento potremmo addirittura parlare di un raï francese.
A sviluppare un certo interesse, furono i beur, ovvero gli immigrati di seconda generazione. Il raï costituiva un’espressione decisamente ribelle comparata agli altri elementi del loro retroterra culturale. Per questo motivo infatti, contribuì ampiamente a creare un’identità beur.
Il rai-beur riprende ancora molte caratteristiche del raï algerino, ma con una forte rielaborazione.
I beur e gli immigrati
Ma chi sono i beur e che significato ha esattamente la musica raï?
I beur spesso sono indicati come un esempio di double culture, poiché sono sospesi tra il retaggio culturale dei loro genitori e il mondo francese. Da un lato le loro famiglie che sperano nel reinserimento e vivono il mito del ritorno, dall’altro la Francia che vorrebbe risolvere la questione attraverso la loro assimilazione.
I beur comunque non accettano nessuna di queste opzioni a cui si sentono estranei e a cui si ribellano, in quanto si sentono caratterizzati da un’identità culturale differente sia da quella degli algerini, sia dagli algerini immigrati, che dai francesi.
Dagli anni ’90 i giornali, le televisioni, i programmi radio e addirittura il cinema stesso dedicano maggior attenzione all’affermazione della cultura beur nella società.
Infatti la cultural mobility sta assorbendo le espressioni culturali dei beur, così le major record companies mettono a disposizione gli spazi necessari alla loro affermazione, anche attraverso la stereotipata immagine del buon beur a cui il raï.
Il buon beur è quello socialmente accettabile. Così la musica raï dona ai beur un’ immagine positiva e alla moda. Pur non essendo un riconoscimento ufficiale dell’identità dei beur da parte della società francese, c’è una accettazione dell’esistenza di uno stile beur di cui il raï-beur è l’espressione positiva, spesso in opposizione alla negativa immagine attribuita alla musica rap.
Conseguentemente, il sound group dei beur correlato alla musica raï non solo esprime una identità musicale ma anche, partendo da questa identità, ne ha affermata una sociale. Qui è importante dimenticare la classica visione dei beur quali possessori di una double culture, per parlare piuttosto di una cultura in between.
Nella double culture il conflitto tra due culture differenti impedisce la completa espressione di un’identità propria permettendo solamente la scelta di alcune particolari caratteristiche da una delle due. Se parliamo di cultura in between invece, è permesso attraversare i confini tra le due differenti culture – in questo caso algerina e francese – producendo così una nuova identità.
La musica raï, grazie alla sua eterogeneità, al suo legame profondo con i processi di musical transculturation, permette questo ‘attraversamento’ di confini tra le due culture, e così il ‘raï in-between’ diviene esso stesso un importante strumento per mostrare questa nuova identità all’interno della società francese.
Per saperne di più:
Ed ecco la mia playlist. Per completarla mi son fatta aiutare dai miei amici marocchini.
Il raï, pur essendo algerino, ha avuto una grande importanza in tutto il Nord Africa e i suoi significati (nostalgia della patria ma anche di un amore perduto o impossibile. Vedi Aicha, che ha entrambe le chiavi di lettura) è comune a tutti i paesi di questa regione.
Ditemi che ne pensate e se vi ha fatto sognare almeno un po’! Per me è stata un’ottima preparazione per il viaggio che ho fatto in Marocco e per un possibile ritorno (anch’io mi son fatta prendere da questo mito 🙂 ).
Buon viaggio e come sempre, ci vediamo sui social, zaino in spalla e sketchbook alla mano!
Gaia
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